Un'analisi post-hoc per sottogruppi condotta sui dati di un trial resigtrativo di fase 3, presentata dalla prof.ssa Maria Luisa Brandi dell'Università di Firenze nel corso del congresso annuale ASBMR, tenutosi quest'anno in modalità virtuale causa Covid-19, ha confermato la superiore efficacia di burosumab , farmaco approvato da due anni dalla Fda statunitense nel trattamento dell'ipofosfatemia legata a cromosoma X (XLH)  in un ampio spettro di di pazienti adulti affetti dalla malattia rispetto ai pazienti del gruppo placebo.

L'abstract presentato al Congresso è uno dei “top five” clinical abstract del meeting scientifico americano di quest'anno, essendo stato selezionato sulla base “del contenuto scientifico e dell'innovatività, in grado di fare la differenza nella pratica clinica”.

Informazioni sulla malattia
L'ipofosfatemia X-linked (XLH) è un disturbo a carico del metabolismo del fosfato, caratterizzato da un'eccessiva escrezione di fosfato nelle urine con conseguente ipofosfatemia. La malattia, mediata dai livelli circolanti sierici di FGF-23, è una malattia a trasmissione dominante legata al cromosoma X, che colpisce sia i maschi che le femmine, anche se alcuni rapporti indicano che la malattia possa essere più grave nei maschi.

La XLH è la forma ereditaria più comune di rachitismo (fragilità e indebolimento delle ossa), che viene ereditata come carattere dominante X-linked e che colpisce maschi e femmine.

E’ caratterizzata da mineralizzazione inadeguata e da anomalie scheletriche tra cui: rachitismo, progressivo incurvamento della gamba, osteomalacia, dolore osseo, andatura ondeggiante, bassa statura, insufficienza motoria, debolezza muscolare, stenosi spinale, entesopatia e osteoartrite.

Il trattamento convenzionale di XLH consiste in dosi giornaliere multiple di fosfato e vitamina D attiva per contrastare gli effetti legati ai livelli di FGF23, ma non corregge la malattia sottostante.

“La XLH è stata chiamata per molti anni rachitismo vitamina D-resistente – spiega ai nostri microfoni la prof.ssa Maria Luisa Brandi (Policlinico Universitario Careggi, Firenze) – in quanto l'ormone FGF23, oltre ad essere fosfaturico, può alterare anche il metabolismo della vitamina D (non facendo attivare la vitamina D a livello renale dall'enzima 1-alfa idrossilasi e rendendo impossibile, pertanto, la formazione di vitamina D attiva. Se, pertanto, trattiamo questi pazienti con vitamina D “nativa” non rispondono, ma vanno tratati con vitamina D attiva (calcitriolo)”



Informazioni su burosumab
Il farmaco è un anticorpo monoclonale ricombinante sperimentale IgG1 umano diretto contro l’ormone fosfaturico FGF23 (fattore di crescita dei fibroblasti 23). E’ stato scoperto da Kyowa Hakko Kirin, con la quale Ultragenyx Pharmaceutical ha implementato un accordo per il suo sviluppo clinico.

FGF23 è un ormone che riduce la fosfatemia e i livelli di vitamina D attiva, regolando l'escrezione di fosfato e la produzione di vitamina D attiva ad opera del rene.

Burosumab è stato progettato per legarsi al FGF23 e, di conseguenza, inibirne l’eccessiva attività biologica. Bloccando l’eccesso di FGF23 nei pazienti con XLH, burosumab aumenta il riassorbimento di fosfato del rene e aumenta la produzione di vitamina D, che migliora l’assorbimento intestinale di fosfato e di calcio.

Razionale e disegno dello studio
“La XLH - ricorda ai nostri microfoni la prof.ssa Maria Luisa Brandi – è certamente una malattia congenita dell'infanzia; è però anche vero che, ancora oggi, molti pazienti affetti da questa condizione non ricevono diagnosi di XLH in età infantile ma in età adulta. Negli Usa, burosumab ha ottenuto l'approvazione per l'impiego della XLH anche nell''adulto, mentre in ambito europeo il farmaco ha ottenuto l'indicazione pediatrica e, si spera, a breve, otterrà anche quella nell'adulto”.

“Lo studio di fase 3 della durata di 24 settimane alla base dell'analisi post-hoc presentata al Congresso – continua - si era proposto di valutare se burosumab fosse in grado di correggere l'ipofosfatemia nell'adulto e ridurre il dosaggio di fosfato (fino ad annullarlo), nonché la somministrazione del calcitriolo, dimostrandosi efficace da questo punto di vista. L'analisi post-hoc presentata al Congresso si è proposta di valutare, oltre all'effetto sul fosfato, quello su altri elementi tipici della malattia nell'adulto, in quanto è chiaro che le deformità scheletriche acquisite durante l'età infantile saranno purtroppo irreversibili e porteranno ad esiti chirurgici o a sindromi da sovratrattamento (iperparatiroidismo) o a problemi muscolo-scheletrici responsabili di una qualità di vita non ottimale. La nuova analisi, pertanto, si è concentrata sulla valutazione di tutta una serie di parametri che riguardano sia la qualità della vita, sia il dolore, sia la funzionalità muscolare”.

Lo studio originario aveva reclutato 134 pazienti adulti con XLH, randomizzati a trattamento in doppio cieco con burosumab (n=66) o placebo (n=68) per 24 settimane, seguite da una fase di ugual durata ma con trattamento con burosumab in aperto.
I livelli di fosforo nel sangue dei pazienti erano inferiori a 2,5 mg/dl, e i pazienti sperimentavano un dolore osseo/articolare misurabili.
Le caratteristiche cliniche dei pazienti erano sovrapponibili tra i 2 gruppi; l'età media dei pazienti era pari a 40 anni, con una prevalenza di donne (65%) e di pazienti di etnia Caucasica (81%).

L'analisi presentata al Congresso ha esaminato gli outcome di efficacia dei pazienti raggruppandoli in base a diverse caratteristiche quali: il sesso di appartenza; l'età  (≤41 anni o >41 anni); l'etnia (non-Caucasici, Caucasici); la regione di appartenenza (Asia, Nord America/Europa); il punteggio WOMAC relativo alle componenti “dolore”, “dolore totale”, “rigidità articolare” e “funzione fisica”;  WOMAC physical function; il dolore più invalidante e quello medio percepito classificati mediante l'indice BPI; l'impiego di oppioidi; l'impiego di farmaci analgesici; la presenza di fratture attive e pseudofratture; la distanza percorsa al test della deambulazione in 6 minuti (6MWD).

Gli outcome di efficacia considerati sono stati i seguenti:
- livelli sierici di fosforo (outcome primario)
- dolore più invalidante in base al punteggio BPI, punteggi WOMAC relativi “rigidità articolare” e “funzione fisica” (outcome secondari chiave)
- punteggi WOMAC relativi a “dolore”, punteggio totale WOMAC, dolore medio percepito, interferenza del dolore, fatigue maggiormente invalidante  classificati mediante indice BPI, punteggio totale BPI, impressione globale del paziente (PGI) e distanza percorsa la test 6MWD

Risultati principali  
Considerando la coorte in toto, a 24 settimane, i pazienti trattati con burosumab avevano mostrato risposte favorevoli rispetto al gruppo placebo per quanto riguarda i livelli sierici di fosforo (outcome primario), i punteggi WOMAC relativi alle componenti “rigidità articolare” (p=0,12)  e “funzione fisica” (p=0,48) e per quanto riguarda il dolore più invalidante classificato mediante l'indice BPI. (p=0,92, non significativo), come pure in termini di miglioramento significativo del punteggio totale WOMAC e della distanza percorsa al test 6MWD.

Non erano stati rilevati, invece, miglioramenti significativi del punteggio WOMAC relativo alla componente “dolore” e del dolore medio classificato mediante indice BPI.

Nell'analisi per sottogruppi, invece, burosumab è risultato superiore al placebo relativamente all'outcome primario (fosforemia) in tutti i sottogruppi come pure relativamente agli outcome secondari chiave (dolore più invalidante, rigidità e funzione fisica), eccezion fatta (nel secondo caso) per i pazienti Asiatici e di etnia non Caucasica.

Burosumab, inoltre, è apparso superiore a ciò che è stato finora considerato il gold standard per XLH, ovvero la combinazione fosfato/calcitriolo.

Implicazioni dello studio
Nel commentare i risultati, la prof.ssa Brandi ha sottolineato come questo studio allarghi le prospettive d'impiego di burosumab nella popolazione adulta anche all'Europa, mentre negli Usa il farmaco è già utilizzato in questa fascia di età.

Attualmente il farmaco è utilizzato anche da noi nella popolazione adulta per uso compassionevole (con tutte le limitazioni e i problemi regolatori connessi), ragion per cui è auspicabile, visti i risultati ottenuti, che burosumab possa essere concesso, a breve, ai pazienti sintomatici affetti da questa patologia genetica anche nell'area UE.

Nicola Casella

Bibliografia
Brandi ML et al. [1044] Efficacy of burosumab in adults with X-linked hypophosphataemia (XLH): A subgroup analysis of a randomized, double-blind, placebo-controlled, phase 3 study. ASBMR 2020