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Luci e ombre della ricerca sugli organoidi

Fonte: Le Scienze.it

23 gennaio 2017

Luci e ombre della ricerca sugli organoidi

Luci e ombre della ricerca sugli organoidi
Credit: Kaibara87/Wikimedia Commons
Intestino, rene, pancreas, fegato, cervello e retina. Sono questi gli organi umani che è possibile riprodurre in laboratorio, almeno per alcune cruciali proprietà strutturali e funzionali, grazie ad aggregati tridimensionali di cellule chiamate organoidi.

I recenti sviluppi delle tecniche di coltura cellulare in tre dimensioni - e le importanti questioni bioetiche che sollevano - sono ora descritti in una review pubblicata su “Science” da Amelie Bredenoord dello University Medical Center Utrecht, nei Paesi Bassi, e colleghi olandesi e austriaci.
Le prime tecniche di coltura cellulare in 3D sono iniziate negli anni ottanta e novanta, quando i ricercatori hanno iniziato a dissociare e riaggregare le cellule derivate da organi in via di sviluppo con l'obiettivo di studiare i processi di adesione che guidano l'organogenesi. In anni recenti si è assistito a una riscoperta di questi studi, che però hanno preso una piega un po' diversa da quella originale.

Oggi gli organoidi possono essere prodotti a partire da due tipi di cellule staminali: pluripotenti o adulte mesenchimali. Le prime sono cellule in grado di differenziarsi in cellule della gran parte dei tessuti, e possono essere derivate da embrioni, oppure cellule pluripotenti indotte (IPS), che derivano invece da cellule adulte già differenziate, ma forzate a ripercorrere all'indietro il processo di maturazione per tornare alla fase staminale. Nel secondo caso si tratta di cellule staminali adulte, ma immature e indifferenziate.

In entrambi gli approcci, l'esito finale è un un modello artificiale di come si sviluppa e vive un organo umano, un risultato potenzialmente rivoluzionario per la ricerca ricerca clinica e di base, in particolare per il processo di scoperta di nuovi farmaci.
Luci e ombre della ricerca sugli organoidi
Credit: Kaibara87/Wikimedia Commons
Gli organoidi derivati da pazienti per esempio offrono la possibilità di riprodurre “in provetta” una patologia ereditaria o un tumore, e sviluppare un trattamento personalizzato. Un impatto positivo per molti aspetti, ma di tale portata da imporre una profonda riflessione sulle implicazioni etiche e sociali, alcune delle quali sono in comune con la medicina rigenerativa, che punta a ripristinare la funzione dell'organismo riparando, sostituendo o rigenerando cellule, tessuti e organi.

La prima conseguenza importante è per la sperimentazione animale. Anche se i modelli animali si sono dimostrati fondamentali per comprendere l'origine delle patologie e le loro possibili terapie, il trasferimento dei risultati sugli esseri umani si è rivelato spesso problematico, per le profonde differenze nel metabolismo delle diverse specie.
Gli organoidi potrebbero rappresentare un'alternativa alla ricerca animale: sono infatti generati da cellule umane e perciò mostrano un metabolismo e un turnover cellulare di tipo umano. E qualche risultato già si è visto. Anche se nessuno di quelli ottenuti finora è stato in grado di riprodurre la fisiologia completa di un organo, alcuni si sono dimostrati utili per esempio per sviluppare di modelli individualizzati di tumore umano o per valutare dell'efficacia di terapie per la fibrosi cistica specifiche per ciascun paziente.La tecnologia degli organoidi quindi potrebbe rappresentare, almeno a lungo termine, un'alternativa ai test animali, ma esistono ancora numerosi problemi che ne condizionano l'utilità. Il primo è dovuto al fatto che gli organoidi riproducono abbastanza bene l'istologia degli organi su piccola scala, ma non la loro architettura e la loro forma complessive. Inoltre, molti protocolli non contemplano lo sviluppo di vasi sanguigni e di nervi periferici, limitando così le dimensioni e la complessità dell'organoide, producendo artefatti a causa dell'insufficiente diffusione dell'ossigeno e dei nutrienti. Infine omettono di considerare le complesse interazioni, fondamentali in un organismo completo, di un organo con il sistema immunitario e con gli altri organi e apparati, come quelle recentemente scoperte tra il microbioma dell'intestino, il sistema nervoso parasimpatico e il pancreas.

È dunque improbabile che, sul breve e medio termine, la ricerca sugli organoidi consentirà di soppiantare la ricerca su modelli animali poiché, parafrasando Aristotele, un organismo è più grande e più complesso della somma delle sue parti. Al massimo, potranno diventare una ricerca complementare.

Un discorso analogo si può fare per i problemi etici riguardanti l'uso delle cellule staminali embrionali, al centro da anni di un acceso dibattito. È improbabile infatti che lo sviluppo della ricerca sugli organoidi possa rendere obsoleta la necessità di materiale embrionale umano, anzi, paradossalmente potrebbe aumentarla. Il confronto con il reale sviluppo embrionale umano potrebbe infatti essere necessario per validare in modo rigoroso le tecniche di sperimentazione sugli organoidi, almeno inizialmente.
Non bisogna trascurare il fatto, d'altra parte, che l'uso di organoidi solleva di per sé alcuni importanti interrogativi etici. Per esempio, quale valore attribuiscono i donatori di cellule ai “loro” organoidi, in particolare ai mini-cervelli, che potrebbero avere, almeno in linea di principio qualche abbozzo di caratteristica cognitiva individuale?

Inoltre, in esperimenti recenti alcuni organoidi sono stati portati oltre il quattordicesimo giorno di sviluppo, limite stabilito per convenzione per considerare eticamente accettabile la ricerca sugli embrioni, consentendo un'analisi particolarmente interessante di alcuni stadi dello sviluppo. Nel caso degli organoidi si dovrebbe quindi fare un'eccezione alla regola dei 14 giorni, o riportare la ricerca entro questo limite?
Luci e ombre della ricerca sugli organoidi
La ricerca sugli organoidi promette di rivoluzionare il rapporto tra medico e paziente, aprendo la strada a terapie sempre più personalizzate
(Credit: Mario Villafuerte/Getty Images)

 La ricerca sugli organoidi presuppone anche l'ampliamento delle bio-banche, dove vengono raccolti i campioni cellulari e tissutali, e che già pongono questioni non del tutto risolte. Chi può conservare campioni biologi? Con quali regole e a quali fini? Attualmente, i comitati etici fanno una distinzione rigorosa tra ricerca e cura, ma gli organoidi rischiano di rendere molto meno definito il confine tra questi due ambiti.

E come comportarsi di fronte ai risultati di una ricerca terapeutica che promette di dimostrare la sua efficacia su singoli pazienti o piccoli gruppi selezionati? Le autorizzazioni al commercio dei farmaci e i rimborsi delle assicurazioni sanitarie ora sono basati sui risultati di studi clinici condotti su un numero enorme di pazienti arruolati, e vengono stabiliti su base statistica.

Fonte lescienze.it
URL http://www.lescienze.it/news/2017/01/23/news/tecnologia_organoidi_problemi_etici-3392700/