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Osteoartrosi: un chip “mima” la malattia per ideare farmaci efficaci
Si tratta di un modello più realistico ed efficace nello sviluppo e nello screening di nuove molecole, che può accorciare tempi e costi sperimentali. I ricercatori del Politecnico di Milano sono riusciti a ricreare gli effetti della malattia coltivando la cartilagine e sottoponendola a stimoli meccanici
di Redazione Aboutpharma Online 27 agosto 2019
L’osteoartrosi in un chip. È il frutto di una ricerca del Politecnico di Milano, i cui ricercatori sono riusciti a ricreare gli effetti dell’osteoartrosi, coltivando la cartilagine e sottoponendola a stimoli meccanici capaci di generare la malattia. Tutto in un sofisticato chip delle dimensioni di una moneta. Il risultato ottenuto dal Laboratorio del Politecnico di Milano MiMic (Microfluidic and Biomimetic Microsystems) è stato pubblicato su Nature Biomedical Engineering.
Un ambiente ideale per i test
Nel corso della sperimentazione del piccolo dispositivo inoltre, il gruppo guidato da Marco Rasponi in collaborazione con Andrea Barbero dell’Ospedale Universitario di Basilea, ha dimostrato che l’iperstimolazione meccanica della cartilagine sembra sufficiente a indurre la patologia dell’osteoartosi. Senza ricorrere alla somministrazione di molecole infiammatorie come fatto finora. Un’opportuna compressione del tessuto cartilagineo induce infatti i sintomi caratteristici della patologia: infiammazione, ipertrofia e aumento dei processi di degradazione. Nella cartilagine “on a chip” si crea quindi un ambiente ideale in cui testare l’efficacia e i meccanismi di azione di farmaci, accorciando tempi e costi sperimentali e diminuendo la necessità di test su animali.
Assenza di terapie Dmoad
L’osteoartrosi è la più diffusa patologia muscoloscheletrica. Colpisce circa il 10% degli uomini e il 20% delle donne sopra i sessant’anni, cifre purtroppo destinate ad aumentare a causa del progressivo invecchiamento della popolazione. A dispetto di questa tendenza, tuttavia, i pazienti si trovano di fronte all’assoluta mancanza di terapie farmacologiche definite Dmoad (Disese modifying osteoartritis drugs): farmaci capaci non solo di alleviare i sintomi, ma anche di fermare o invertire il processo degenerativo. Al momento infatti le uniche opzioni valide sono trattamenti palliativi o l’intervento chirurgico.
Un modello più realistico
Lo sviluppo di farmaci efficaci è stato ostacolato dall’assenza di modelli sperimentali capaci di mimare adeguatamente la patologia. Finora l’approccio più comune per ricostruire l’osteoartrosi in vitro si è basato sulla somministrazione in espianti di cartilagine di dosi elevate di molecole capaci di indurre una risposta infiammatoria e qualche forma di catabolismo. La malattia ottenuta in questo modo, tuttavia, rappresenta solo parzialmente alcuni dei sintomi finali piuttosto che la ricapitolazione del processo patologico in vivo. Il nuovo chip, al contrario, utilizza il sovraccarico meccanico – uno dei fattori maggiormente correlati allo sviluppo dell’osteoartrosi – risultando più realistico ed efficace nello sviluppo e nello screening di farmaci.
Prossimi step
La ricerca proseguirà verso la modellizzazione dell’intera articolazione su chip. Tutto grazie ad un progetto di Fondazione Cariplo, finanziato in risposta alla call “Ricerca Biomedica sulle malattie legate all’invecchiamento 2018”. Il titolo del progetto è “uKNEEque: a 3D microfluidic osteochondral model to investigate mechanisms triggering age-related joint pathologies and therapeutic effects of bioactive factors produced by nasal chondrocytes”. La ricerca sarà coordinata ancora una volta dal Politecnico di Milano, con la partnership dell’University Hospital of Basel.