In pazienti con fibrosi polmonare idiopatica lieve o moderata, il nuovo farmaco orale in sviluppo PBI-4050, da solo o in combinazione con nintedanib o pirfenidone, è stato ben tollerato e non associato ad alcun evento avverso grave durante un periodo di trattamento di 12 settimane, secondo i risultati di uno studio canadese di fase II pubblicato sull'European Respiratory Journal

La fibrosi polmonare idiopatica (IPF) è una malattia polmonare cronica, irreversibile, progressiva e solitamente mortale di causa sconosciuta. È caratterizzata dalla formazione di cicatrici nel parenchima polmonare, perdita progressiva della funzionalità polmonare, dispnea e tosse che alla fine portano a insufficienza respiratoria. Si manifesta principalmente negli anziani, con un'età media alla diagnosi di 66 anni. 
In Europa e Nord America ha un’incidenza di 3-9/100.000 anni-persona e sembra in aumento. La prevalenza è stata riportata fino a 45-199/100.000 anni-persona in individui di età compresa tra 60 e 79 anni. La sopravvivenza mediana è di 3 o 4 anni dopo la diagnosi. 

Le attuali linee guida di pratica clinica raccomandano l'uso di pirfenidone o nintedanib per il trattamento della malattia, anche se entrambi i farmaci presentano limitazioni in termini di efficacia e tollerabilità. C’è quindi la necessità di ulteriori terapie per trattare questa malattia progressiva e mortale, scrivono gli autori. 

Il nuovo farmaco sperimentale 
PBI-4050, un sale di sodio dell’acido 3-pentilbenzenacetico, è un composto a basso peso molecolare a somministrazione orale in sviluppo clinico per il trattamento di pazienti con malattie fibrotiche. Viene sviluppato dalla biotech americana Prometic Life Sciences. 

Si tratta di un analogo sintetico di un acido grasso a catena media che mostra affinità di legame come agonista e antagonista rispettivamente di due recettori accoppiati alle proteine ​​G, GPR40 e GPR84. 

PBI-4050 riduce la fibrosi attraverso la regolazione di macrofagi, fibroblasti/miofibroblasti e cellule epiteliali, implicati nella patogenesi della malattia. 

Uno studio canadese in aperto 
I ricercatori hanno arruolato un totale di 41 pazienti con IPF e un’età superiore a 40 anni in uno studio in aperto condotto in sei siti canadesi. Sono stati sottoposti a scansioni con tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRCT) del torace al momento dello screening o comunque entro un periodo di 12 mesi prima dell'inizio della somministrazione del farmaco. 

Nelle 12 settimane di durata dello studio i pazienti hanno ricevuto 800 mg di PBI-4050 per via orale una volta al giorno (quattro capsule da 200 mg), con la possibilità di ricevere anche nintedanib, pirfenidone e corticosteroidi durante il trattamento. 
L’obiettivo primario era valutare sicurezza e la tollerabilità della terapia tramite gli eventi avversi segnalati dal paziente, i test clinici di laboratorio, i segni vitali, l’elettrocardiogramma e gli esami fisici. 

I ricercatori hanno anche cercato di determinare l'efficacia clinica del farmaco sulla base delle misurazioni dei cambiamenti medi, dal basale al follow-up di 12 settimane, nei test di funzionalità polmonare come la capacità vitale forzata (FVC) e la capacità di diffusione per il monossido di carbonio aggiustata per l'emoglobina (DLCO, Diffusing capacity for carbon monoxide). 

Dati incoraggianti su tollerabilità e potenziale efficacia 
Durante lo studio hanno avuto almeno un evento avverso circa l'83% dei pazienti, la maggior parte di entità lieve o moderata. Solo tre pazienti hanno avuto eventi avversi gravi, nessuno dei quali correlato al farmaco in studio. Profili farmacocinetici simili sono stati trovati nei gruppi PBI-4050 da solo e PBI-4050 più nintedanib. 

I ricercatori non hanno osservato differenze tra il gruppo PBI-4050/nintedanib e quello con solo PBI-4050 in relazione al cambiamento della capacità vitale forzata media dal basale alla settimana 12, rispettivamente di 0,06% (p=0,951) e 1,87 ml (p=0,953) rispetto a -1.11% (p=0,475) e -12.2 ml (p=0,795), che si è invece ridotta in misura significativa nel gruppo PBI-4050/pirfenidone, con un risultato di -2,69% (p=0,024) e -102 ml (p=0,012). 

I limiti dello studio consistevano in una bassa numerosità della coorte, nel disegno in aperto e nel breve follow-up, così come nella mancanza di randomizzazione e di un controllo comparativo. 

«In sintesi – concludono gli autori - non vi sono stati problemi di sicurezza con PBI-4050 sia da solo che in combinazione con nintedanib o pirfenidone dopo 12 settimane di trattamento. I profili farmacocinetici di PBI-4050 da solo e con nintedanib erano simili, mentre erano ridotti in combinazione con pirfenidone, suggerendo un'interazione farmaco-farmaco. I risultati di efficacia sulla capacità vitale forzata sono strati incoraggianti sia con PBI-4050 da solo che in combinazione con nintedanib». 

«Sebbene pirfenidone e nintedanib comportino un miglioramento significativo nel trattamento dell'IPF, non rappresentano una cura e hanno effetti collaterali significativi e talvolta intollerabili», hanno aggiunto i ricercatori. «Pertanto la ricerca clinica continua a concentrarsi su nuove terapie per il trattamento di questa malattia progressiva e spesso fatale». 

Bibliografia 

Khalil N et al. Phase 2 clinical trial of PBI-4050 in patients with idiopathic pulmonary fibrosis. Eur Respir J. 2018. 

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