Gli anticorpi bispecifici sono proteine ​​artificiali che hanno applicazioni promettenti soprattutto nel campo dell'immunoterapia del cancro. Sono composti da frammenti di due anticorpi monoclonali collegati da un ponte chimico peptidico flessibile e sono in grado di legarsi a due diversi tipi di antigene. 

   Negli ultimi mesi l’interesse per queste nuove molecole è aumentato in maniera esponenziale e sono sempre di più le grandi e piccole aziende farmaceutiche che stanno allocando risorse nello sviluppo di queste terapie o che stanno collaborando con altri attori coinvolti in questo settore. Si stima che entro il 2025 il mercato degli anticorpi bispecifici possa superare gli 8 miliardi di dollari. 

   Quelli già disponibili, anche in Italia, sono due: emicizumab per la profilassi dell’emofilia A in pazienti con e senza inibitori del fattore VIII della coagulazione, e l’antitumorale blinatumomabindicato per il trattamento degli adulti con leucemia linfoblastica acuta (LLA) da precursori delle cellule B recidivante o refrattaria negativa per il cromosoma Philadelphia (Ph-). 

La corsa agli anticorpi bispecifici 
   Nel giro di poche settimane abbiamo assistito ad alcuni accordi di collaborazione tra grandi compagnie e piccole biotech specializzate nelle ricerca di questi nuovi trattamenti. 

  Nei primi giorni di febbraio Genentech ha avviato una partnership con la biotech statunitense Xencor per i suoi progetti legati alle citochine IL-15 e per lo sviluppo e commercializzazione congiunti dell’immunoterapico in fase preclinica avanzata XmAb24306, oltre che per altri potenziali futuri candidati. 

  Un giorno dopo sono entrate in collaborazione GlaxoSmithKline e la tedesca Merck per la gestione congiunta di una immunoterapia bispecifica per il trattamento di prima linea dei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) che esprimono PD-L1. 

  E solo pochi giorni fa AbbVie ha stipulato un accordo globale con la biotech californiana TeneoBio per lo sviluppo dell’immunoterapeutico sperimentale TNM-383B, che ha come target l’antigene di maturazione delle cellule B (BCMA) nei pazienti con mieloma multiplo. 

  Sono oltre 200 le molecole in valutazione negli studi clinici, numero che dovrebbe aumentare ulteriormente nei prossimi anni come risultato della ricerca e sviluppo e grazie alla spinta dal successo commerciale dei farmaci già sul mercato. La maggior parte di queste molecole interesserà il trattamento di tumori multipli, malattie infettive, disturbi del sistema nervoso centrale, malattie infiammatorie e autoimmuni. 

Un ponte tra cellule tumorali e immunitarie 
  La maggior parte degli anticorpi terapeutici sono anticorpi monoclonali, che si legano solo alla proteina bersaglio. Presentano una singola regione Fab (Fragment antigen binding) in grado di legarsi a una cellula cancerosa, e una regione Fc (frammento cristallizzabile) che non può legarsi a un linfocita T, privo di recettori per Fc. 

  L’aggiunta di una seconda regione Fab negli anticorpi bispecifici consente loro di riconoscere e legare sia le cellule tumorali che i linfociti T citotossici, realizzando una sorta di ponte tra due ligandi. Uno dei domini Fab si lega all’antigene CD3 sui linfociti T, mentre il secondo a un antigene presente sulle cellule tumorali. Questa connessione fa sì che il sistema immunitario possa aggredire e distruggere più facilmente le cellule cancerose. 

  Attualmente sono in fase di studio tre tipi diversi di anticorpi bispecifici: gli anticorpi trifunzionaliche presentano due regioni Fab e una regione Fc, quelli definiti “chemically linked Fabs” in cui manca la regione Fc, e i più recenti “bispecific T-cell engagers” (BiTEs) più spesso utilizzati contro i tumori. 

  Ciascuno di questi anticorpi consiste di due domini a catena leggera variabile, uno dei quali può legarsi a una cellula cancerosa, mentre l'altro è progettato per legare a un antigene T linfocitario, migliorando così la risposta del sistema immunitario contro il cancro. 
  
  Gli anticorpi trifunzionali contengono anche una regione Fc intatta che può legarsi anche a una cellula che esprime l'antigene Fc, come il macrofago. In questo caso la cellula tumorale viene collegata a una o due cellule del sistema immunitario, per essere successivamente distrutta. 

Meno effetti collaterali 
  Questi composti funzionano solo quando entrambi i siti di legame sono occupati da determinate cellule. Dal momento che sono caratterizzati da una specificità molto alta, questo riduce al minimo i potenziali effetti collaterali indesiderati. Come ulteriore vantaggio, gli anticorpi bispecifici possono attivare direttamente le cellule T, senza la necessità di ulteriore co-stimolazione da parte di altre componenti del sistema immunitario, come le cellule del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) di classe I, che sono normalmente coinvolte nella presentazione dell'antigene ai linfociti T. 

   Tra gli effetti collaterali del trattamento sono stati segnalati una lieve risposta infiammatoria dovuta all'attivazione delle cellule T e la sindrome da rilascio di citochine, che si verifica quando vengono liberate alcune citochine infiammatorie (IL-1, IL-6 e altre). Altri effetti avversi comuni della terapia sono febbre, linfopenia (basso numero di linfociti), aumento del conteggio della proteina C-reattiva (CRP) e implicazioni neurologiche.